L’elemento concettuale che permea la fotografia contemporanea al punto da rischiare di asfissiarla, è naturalmente presente nelle immagini di Nicolini, dove l’uso dell’astrattismo e del mosso supportano una visione provocatoriamente ora onirica ora idilliaca. E’ la forma ironica e ottimistica al tempo stesso scelta dall’autore per farci soffermare sulle malattie del nostro pianeta e sulla cause che ne sono all’origine. Le sue finiscono inesorabilmente con il chiederci a cosa sia finalizzato l’incessante bisogno del nuovo, la spasmodica necessità di sorprendere, se il pianeta malato è inconfutabile evidenza di quanto profondamente disconosciamo il presente e in realtà ci disinteressiamo al futuro. Non è quindi casuale la significativa presenza di locations sconosciute ai più, tesa a ribadire la vastità del nostro mondo e l’inesauribile possibilità di analisi che demanda.
Gli astrattismi e l’uso del mosso di cui si serve non vogliono essere quindi una fuga dalla realtà né un suo riscatto, bensì una sua ulteriore lettura, per ribadire che prima di discostarsene o di trasfigurarla val bene osservarla in ogni sua forma, in ogni suo sfaccettatura, in ogni sua manifestazione.
L’abbondanza di spunti che l’autore ne ricava spiega anche perché eviti la manipolazione digitale dei soggetti che ritrae. Semplicemente non ne ha bisogno per creare immagini che sorprendano rivelando, dove in alcuni casi i dettagli riescono a rubare la scena alla visione d’insieme. Le visioni di paesaggi immoti e primordiali ci ricordano che la Terra e l’Universo tutto sono esistiti a lungo senza di noi e forse riprenderanno a farlo. Quindi, sembrano dirci, a costo di risultare demodè e impopolari, occorre fermarsi a osservare e a riflettere su quanto GIÀ C’E’. Per il loro autore è forse il modo migliore per progredire e fare futuro.
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