La fotografia di Stefano Nicolini trasgredisce uno dei principi della fotografia contemporanea enfatizzando i ruoli svolti dalla bellezza e dall’armonia, valori da essa rinnegati. Le sue immagini reclamano una nuova considerazione per generi fotografici quali la paesaggistica, la ritrattistica del mondo animale ma anche il reportage, relegati in secondo piano dalla necessità di un continuo avvilupparsi concettuale ed estetico richiesto al fare arte. L’autore investe l’osservatore con una bellezza luminosa, travolgente e al tempo stesso multiforme e con l’insieme vivificante di valori e sensazioni che ne scortano l’ essenza: purezza, grandiosità, meraviglia, primigenio, mistero, scoperta, intimità, appartenenza, dramma, pericolo, inferiorità, fragilità.
La bellezza propostaci, anche quale forma di espressione delle realtà più amare, reclama quindi di tornare a dialogare con l’arte e con quella fotografica in particolare, come ha sempre fatto fino a mezzo secolo fa. Non più “parìa” intoccabile bensì protagonista tornata a illuminare l’entusiasmante percorso dell’uomo, esistenziale prima ancora che artistico.
Andando oltre la funzione educativa e moderatrice che nelle nostre società sempre più violente e volgari possano svolgere raffigurazioni di grazia e armonia, le sue immagini suscitano la fatidica e scomoda domanda: nell’arte e quindi nella fotografia identificata quale contemporanea, come se quella esclusa da tale definizione non lo fosse, non vi è una sopravvalutazione, un abuso dell’elemento concettuale e della capacità di provocare riflessione?
La plasticità, il brillante uso dei cromatismi, la forza espressiva, la nitidezza delle luci mai supportate da dispositivi flash e fari, lo studio del dettaglio, elementi caratterizzanti la fotografia di Nicolini, riavvicinano all’apprezzamento di quelle capacità sintetizzabili nella manualità che tradizionalmente identifica l’artista.
< pag 1 di 2 >