In Villaggi salnitreri del deserto di Antofagasta, lavoro realizzato nel Cile settentrionale nel 2004, l'autore, coerentemente con la propria linea concettuale, tiene la presenza umana fuori dal mirino della macchina fotografica. Ciò non significa che non cerchi l' uomo tra le strutture che questi ha edificato in un ambiente così inospitale. Ci lascia anzi con il dilemma di quale ne sia l' atteggiamento nei suoi confronti e nei confronti delle storie raccontate nella galleria di immagini in oggetto. Ne loda l'opera mostrandoci le linee pulite di geometrie architettoniche che sfidano spazi sconfinati, più vestigia che ruderi, soffermandosi a enfatizzare costruzioni e infrastrutture sopravvissute mirabilmente a decenni di oblio.
Ma allo stesso tempo ci ricorda che ha vinto la natura con scatti che immortalano case diroccate, suppellettili scarnificate, abbandono. Un dualismo interpretativo che trasferisce anche sul piano stilistico. Immagini più contrastate si alternano ad altre dove prevale l'abbacinante luce del deserto di Antofagasta, che travalica il rettangolo della fotografia e investe l' osservatore per dirgli che in un simile ambiente naturale l' uomo non poteva prevalere.
Le ciminiere fumanti di Pedro de Valdivia, l' auto che attraversa una strada deserta di Maria Elena, un vagone errante nel vuoto dell' orizzonte lasciano però la storia e con essa queste fotografie, sospese tra passato e futuro, tra sogno e realtà. E' una tematica cara all' autore, che così ci trasmette la propria inquietudine alla prospettiva di lasciarsi alle spalle la dimensione onirica e l' elemento naturale per sostituirli con una nuova dimensione non ancora sufficientemente sperimentata nè sufficientemente cercata.